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Psicologia clinica

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Origini e Sviluppo della Psicologia Clinica

La nascita e l’evoluzione della psicologia clinica sono legate ai progressi non solo della psicologia stessa, ma anche della medicina, della fisiologia, della biologia e dell’antropologia.

Le radici della psicologia clinica possono farsi risalire all’epoca antica, quando la conoscenza psicologica prendeva forma all’interno della filosofia e delle scienze naturali. Le prime nozioni scientifiche sulla psiche, la definizione di una scienza dell’anima e l’accumulo di conoscenze empiriche sui processi mentali e i loro disturbi furono strettamente connessi allo sviluppo della medicina.

Alcmeone di Crotone fu uno dei primi a sostenere che l’attività pensante ha sede nel cervello.

Alcmeone di Crotone (540 a.C. — 490 a.C.) — filosofo e medico dell’antica Grecia, le cui precise informazioni biografiche sono giunte a noi solo in frammenti. Gli storici ritengono che sia stato uno dei discepoli di Pitagora, elemento che influenzò profondamente l’orientamento del suo pensiero. Il principale traguardo intellettuale di Alcmeone fu la stesura del primo trattato medico in prosa della tradizione greca, «Sulla Natura». In quest’opera elaborò una serie di idee rivoluzionarie per la sua epoca, affermando, in netto contrasto con le concezioni allora dominanti, che l’organo responsabile del pensiero e della conoscenza non fosse il cuore bensì il cervello.

Nella pratica medica, Alcmeone proponeva di basarsi sull’osservazione accurata dei sintomi delle malattie. Sosteneva che fosse proprio attraverso le manifestazioni esterne del disturbo possibile trarre conclusioni sulle condizioni di salute generale del paziente. Inoltre, Alcmeone è considerato l’autore della prima teoria della conoscenza di cui si abbia notizia, basata sulla percezione sensoriale. Secondo il suo pensiero, tutte le rappresentazioni mentali si formano nel cervello. Da queste immagini primarie nasce la memoria, e sulla loro base si costruiscono i giudizi che, a loro volta, conducono alla vera conoscenza.

Il filosofo si dedicò anche a ricerche nel campo dell’embriologia. Secondo le informazioni pervenute ai ricercatori moderni, Alcmeone, seguendo la dottrina della scuola pitagorica, riteneva l’anima immortale, il che conferma ancora una volta il suo stretto legame con questa corrente filosofica.

Il nome di Ippocrate, nato nel 460 a.C. sull’isola di Cos, è per sempre impresso nella storia come simbolo della riforma della medicina antica. La sua origine dalla stirpe degli Asclepiadi, diciotto generazioni delle quali avevano dedicato la propria vita alla medicina, ne determinò il destino. Le prime lezioni del futuro «padre della medicina» gli furono impartite dal padre, il medico Eraclito, e dalla madre, la levatrice Fenarete, percorrendo un cammino che dalle tradizioni della medicina popolare lo condusse alle vette della maestria professionale.

Ippocrate considerava il cervello l’organo della psiche, e la sua dottrina dei temperamenti e la classificazione dei tipi umani su base somatica rimangono un’eredità importante. Iniziata la propria attività presso un tempio, Ippocrate già a vent’anni aveva raggiunto la fama di abile guaritore. Dopo essere stato iniziato al sacerdozio, requisito obbligatorio per i medici dell’epoca, si recò in Egitto per approfondire le sue conoscenze. Al ritorno a Cos, fondò una propria scuola medica, nota come Scuola di Cos, dove esercitò con successo per molti anni.

Una svolta decisiva nella sua biografia fu l’invito ad Atene, colpita da un’epidemia. Grazie alla comprensione dei meccanismi di diffusione del contagio, riuscì a fermare la peste, e per questo i riconoscenti ateniesi gli concessero la cittadinanza onoraria e una corona d’oro. In quello stesso periodo curò il suo amico, il filosofo Democrito, le cui idee sulla causalità avrebbero successivamente arricchito la medicina con la dottrina sull’eziologia delle malattie.

Le conoscenze anatomo-fisiologiche degli Elleni furono sistematizzate e integrate dal medico romano Galeno (129—199 d.C.), nella cui dottrina emersero le prime concezioni del fattore psichico come possibile fonte del movimento. Le opere di Galeno rimasero un testo fondamentale per i medici fino al XVIII secolo.

Nel Medioevo, il progresso della medicina e della psicologia incontrò notevoli difficoltà a causa del predominio del misticismo, della religione e delle persecuzioni contro gli naturalisti. La psicologia assunse un carattere teologico, fondandosi sulla filosofia di Tommaso d’Aquino. Sebbene Tommaso d’Aquino, il massimo scolastico del XIII secolo, non si dedicasse direttamente alla pratica medica, la fusione della filosofia aristotelica con la teologia cristiana influenzò fondamentalmente la formazione della comprensione della psiche, gettando le basi concettuali per la futura psicologia medica. Principio cardine del suo insegnamento divenne l’ilemorfismo, che affermava l’unità inscindibile di anima e corpo. Questo approccio, superando il dualismo platonico, legittimò lo studio dei fenomeni psichici nella loro stretta connessione con la fisiologia, divenendo la pietra angolare dell’approccio psicosomatico. Tommaso d’Aquino propose inoltre un modello gerarchico dettagliato dell’anima, suddividendola in livello vegetativo, sensitivo e razionale, il che permise di sistematizzare lo studio delle funzioni psichiche — dagli istinti base ai processi cognitivi superiori. Il suo principio empirico, secondo cui tutta la conoscenza ha inizio dall’esperienza sensibile, spostò l’attenzione dalle speculazioni astratte alla necessità di osservare le manifestazioni concrete della psiche.

Grazie all’opera di Tommaso d’Aquino e dei suoi seguaci, in ambito psicologico emerse un modello razionale e integrale dell’uomo, in cui la dimensione psichica e quella corporea, l’affettivo e il razionale vengono considerati in una connessione inscindibile, rappresentando un presupposto fondamentale per l’emergere della psicologia medica scientifica.

Con l’avvento del Rinascimento, la psiche umana fu riscoperta attraverso l’opera dei grandi umanisti. L’invenzione della stampa a caratteri mobili in Germania favorì la diffusione delle idee umanistiche, mentre le scoperte di Copernico, Bruno e Galileo gettarono le basi della scienza classica moderna. Paracelso introdusse una nuova visione della natura del corpo umano e sviluppò metodi terapeutici innovativi. La scuola anatomica di Vesalio, che soppiantò la dottrina galenica, nella ricerca del substrato materiale dei processi psichici condusse una descrizione dettagliata del cervello, permettendo ai ricercatori di recuperare una concezione unitaria del funzionamento mentale.

Nel XVIII secolo in Russia iniziò a svilupparsi un movimento illuminista, strettamente legato alla massoneria russa e volto a una profonda riflessione sul cristianesimo. Paradossalmente, fu proprio con questo movimento che si collegarono le origini della tradizione materialista nella psicologia russa. Tra i prominenti illuministi dell’epoca vi erano il professor I.G. Schwarz, docente di filosofia all’Università di Mosca, che propugnava il perfezionamento morale e spirituale, e A.N. Radiščev, la cui opera «Sull’uomo, sulla sua mortalità e immortalità» rivestì un notevole significato psicologico.

Nel 1796 fu pubblicato il primo libro russo dedicato alla psicologia, «La scienza dell’anima» di M.I. Mikhailov, che sistematizzò le conoscenze psicologiche nello spirito dell’empirismo lockiano descrivendo sensazioni, pensieri e associazioni di idee.

A metà del XIX secolo, il fisiologo tedesco E.H. Weber introdusse metodi somatici per indagare la sfera psichica, portando la nascente scienza psicologica oltre i confini del puro empirismo e dotandola della precisione delle espressioni matematiche. L’opera di Weber fu sviluppata da G.T. Fechner, i cui «Elementi di psicofisica» (1860) esercitarono un’influenza inestimabile su tutti i successivi lavori nel campo della misurazione dei fenomeni psichici. Le ricerche di H. Helmholtz sullo svolgimento temporale dei processi nervosi dimostrarono che i processi mentali sono inseparabili da quelli nervosi, si svolgono nel tempo e nello spazio e sono accessibili allo studio sperimentale.

Un notevole impulso allo sviluppo della concezione riflessologica fu dato da I.M. Sechenov dopo la scoperta dei meccanismi dell’inibizione centrale. Nel 1863 pubblicò l’opera «I riflessi del cervello», che divenne il fondamento per lo sviluppo della fisiologia russa e della scienza del comportamento.

Ampia diffusione in biologia e medicina ottenne la concezione di R. Virchow, fondatore dell’anatomia patologica moderna. La sua patologia cellulare, nonostante un certo approccio meccanicistico, influenzò le ricerche di P. Broca.

Nel 1861, Broca presentò alla Società Antropologica di Parigi i risultati dello studio di due pazienti con perdita della parola, stabilendo una connessione tra questo disturbo e una lesione della circonvoluzione frontale inferiore dell’emisfero sinistro.

Nel 1874, lo psichiatra tedesco C. Wernicke descrisse 10 pazienti con deficit nella comprensione del linguaggio, collegando questo sintomo a lesioni delle porzioni posteriori della circonvoluzione temporale superiore, anch’essa nell’emisfero sinistro.

Il progresso scientifico a metà del XIX secolo portò a rapidi cambiamenti nella concezione della natura vivente e delle funzioni dell’organismo, incluse quelle psichiche sia in condizioni normali che patologiche.

Nel 1879, W. Wundt istituì a Lipsia il primo laboratorio sperimentale di psicologia al mondo. Durante gli anni della sua attività scientifica e didattica, fondò la prima rivista di psicologia e aprì l’Istituto di Psicologia Sperimentale, dove studiarono in seguito illustri scienziati come E. Kraepelin.

Negli anni 1890, Kraepelin introdusse l’esperimento psicologico nella clinica psichiatrica. Applicando l’esperimento associativo, dimostrò le differenze nei processi associativi nella schizofrenia e nella psicosi maniaco-depressiva — oggi ufficialmente denominata disturbo bipolare nella documentazione clinica. L’esperimento associativo gettò le basi per le concezioni teoriche di S. Freud sull’origine delle nevrosi.

Nel 1922, lo psichiatra tedesco E. Kretschmer pubblicò il primo manuale di «Psicologia Medica», delineando i fondamenti metodologici dell’applicazione della psicologia nella pratica medica. Kretschmer è noto anche per il suo lavoro sulla correlazione tra fisico e carattere, sviluppando la dottrina sulla distinzione tra processi patologici e caratteristiche costituzionali.

Un contributo enorme allo sviluppo della psicologia clinica venne dalla psicoanalisi freudiana, nata negli anni Novanta del XIX secolo dalla pratica medica del trattamento di pazienti con disturbi mentali funzionali. La psicoanalisi fece significativi progressi nella teoria psicologica sull’origine dei disturbi mentali e aprì la strada al trattamento psicoanalitico.

Tra il 1880 e il 1890, in Russia, la psicologia sperimentale fu attivamente sviluppata da psichiatri. V.M. Bekhterev aprì il secondo laboratorio di psicologia sperimentale in Europa a Kazan’ nel 1885, e in seguito organizzò una serie di laboratori a San Pietroburgo per lo studio dei pazienti neurologici. I collaboratori di questi laboratori svilupparono metodologie per la ricerca psicologico-sperimentale sui malati di mente, alcune delle quali sono ancora in uso oggi.

Il collega di Bekhterev, A.F. Lazurskij, ampliò l’applicazione del metodo sperimentale estendendolo allo studio della personalità. Sviluppò il metodo dell’esperimento naturale, che permette di studiare la personalità di un individuo, i suoi interessi e il suo carattere. In qualità di direttore del laboratorio psicologico dell’Istituto Psico-Neurologico, organizzato da Bekhterev nel 1907, Lazurskij divenne uno dei fondatori della scuola psicologica di San Pietroburgo.

In psicologia si registrò una crisi che durò fino alla metà degli anni ’30 del Novecento. Fu proprio in questo periodo che iniziarono ad emergere scuole di pensiero indipendenti, che aspiravano a creare nuove teorie. Grazie a questo periodo di crisi, si formarono scuole influenti come il comportamentismo, la psicologia del profondo e la psicologia della Gestalt.

Il comportamentismo, o scienza del comportamento, è una delle scuole più influenti ed efficaci nel lavoro con i disturbi mentali e del comportamento.

Nel 1913, negli Stati Uniti, J. Watson, criticando l’approccio strutturale e funzionale in psicologia, esortò a considerare la psicologia come un campo sperimentale oggettivo delle scienze naturali. Il compito teorico principale del comportamentismo divenne la previsione e il controllo del comportamento umano.

La formazione del comportamentismo fu fortemente influenzata dalla teoria dei riflessi condizionati di I. P. Pavlov e dalla teoria dei riflessi associativi di V.M. Bekhterev. Pavlov dimostrò nei suoi esperimenti che l’attività nervosa superiore può essere descritta negli animali da laboratorio in termini fisiologici, senza ricorrere al concetto di coscienza. J. B. Watson utilizzò questa idea come base per il suo programma e sottolineò che il suo lavoro e gli ulteriori sviluppi del comportamentismo negli Stati Uniti rappresentavano una convincente conferma delle idee e dei metodi di I.P. Pavlov.

La psicologia della Gestalt emerse durante il periodo di crisi aperta come reazione contro l’atomismo e il meccanicismo della psicologia associativa, nonché del comportamentismo. Gli psicologi della Gestalt proposero una nuova comprensione dell’oggetto e del metodo della psicologia: suggerivano di iniziare dalla visione ingenua del mondo, di studiare le reazioni così come sono, e di investigare l’esperienza non ancora analizzata, pur conservando la sua integrità. Le unità chiave della percezione nella psicologia della Gestalt divennero la figura e lo sfondo.

Per la psicologia clinica hanno rivestito grande importanza le opere non solo di I.P. Pavlov, ma anche del fisiologo inglese C. Sherrington, dello psichiatra austriaco S. Freud, del neurochirurgo W. Penfield e varie ricerche neuropsicologiche.

Le prime ricerche neuropsicologiche iniziarono negli anni ’20 del Novecento ad opera di L. S. Vygotskij.

Negli anni ’60, in connessione con gli studi sul cervello, si riaccese l’interesse per il problema della coscienza e del suo ruolo nel comportamento. In neurofisiologia, il premio Nobel R. Sperry considerava la coscienza come una forza attiva.

In Russia, la neuropsicologia si sviluppò attraverso le opere di A. R. Luria e dei suoi allievi — E. D. Chomskaja, T. V. Achutina, L. S. Cvetkova, V. V. Lebedinskij e altri. Grazie al loro lavoro fu accumulata e sistematizzata una vasta mole di conoscenze sul ruolo dei lobi frontali e di altre strutture cerebrali nell’organizzazione dei processi mentali. L’assimilazione dell’esperienza di autori russi e stranieri permise a Luria di creare un complesso di metodi per la ricerca clinica di pazienti con lesioni cerebrali. Un posto significativo nell’opera di Luria, definito un romantico della scienza, fu occupato dalle questioni di neurolinguistica, indissolubilmente legate ai problemi dell’afasiologia.

Negli anni ’60, durante il periodo del «disgelo chruščëviano», ebbe inizio la rinascita della psicologia scientifica in URSS. Iniziò le pubblicazioni la rivista «Questioni di Psicologia», che ospitò articoli programmatici dei principali psicologi del paese.

Nel 1956, V.N. Myasishchev pubblicò su questa rivista un lavoro «Sull’importanza della psicologia per la medicina». In seguito, Myasishchev presiedette la commissione per i problemi di psicologia medica, e iniziarono ad apparire opere monografiche di importanti psicologi russi.

Gli obiettivi specifici della psicologia medica, o clinica, sono stati formulati da studiosi russi come V.N. Mjasishchev, V.V. Lebedinskij, M.M. Kabanov e B.D. Karvasarskij. Secondo il loro approccio, i compiti chiave consistono nei seguenti punti:

— studio dei fattori psichici che influenzano lo sviluppo delle malattie, la loro prevenzione e trattamento;

— analisi dell’impatto delle varie malattie somatiche sulla psiche;

— esame delle manifestazioni psichiche nelle diverse patologie nel loro decorso evolutivo;

— studio delle alterazioni dello sviluppo psichico;

— ricerca sulla natura delle relazioni tra il paziente, il personale medico e l’ambiente circostante;

— elaborazione di principi e metodi di ricerca psicologica;

— sviluppo di metodologie di intervento psicologico a scopo terapeutico e preventivo.

La psicologia clinica viene talvolta definita «psichiatria minore». Le sue aree più consolidate sono la patopsicologia e la neuropsicologia. La patopsicologia, nella zona di confluenza tra psicologia, psicopatologia e psichiatria, si è sviluppata grazie alle idee di B.V. Zejgarnik, Ju. F. Poljakov e altri ricercatori.

Le ricerche sulla teoria e la pratica della riabilitazione hanno influenzato significativamente lo sviluppo della psicologia medica.

Ad esempio, M.M. Kabanov intendeva il processo riabilitativo come un’attività sistemica finalizzata al reinserimento sociale e al recupero dell’identità personale del paziente. Dal suo punto di vista, la riabilitazione rappresenta una metodologia specifica, la cui essenza principale consiste nella mediazione degli interventi terapeutico-riabilitativi attraverso la personalità.

Oggi la psicologia clinica rappresenta uno dei rami applicativi più popolari e richiesti della scienza psicologica. Ciononostante, gli esperti sottolineano che il suo sviluppo è solo agli inizi. Nel sistema sanitario persiste una notevole carenza di personale qualificato in questo settore, che viene gradualmente colmata grazie all’attivazione di nuovi corsi di studio e cattedre universitarie. Sono state create associazioni professionali e l’interesse verso questa disciplina nella società continua a crescere.

La psicologia clinica è la scienza che studia:

— la personalità del paziente affetto sia da patologie somatiche che mentali;

— l’influenza di fattori psichici sullo sviluppo della malattia, incluse le situazioni estreme;

— le tecniche psicologiche di prevenzione e trattamento delle malattie, comprendenti la psicocorrezione e la psicoterapia.

La psicologia clinica si suddivide tradizionalmente in generale e speciale.

La parte generale della psicologia medica comprende lo studio delle leggi fondamentali della psicologia del malato, la dottrina della personalità, la psicologia del personale sanitario e le loro relazioni ottimali con i pazienti e tra colleghi. A questa area appartengono anche le questioni relative all’etica medica e alla deontologia, lo studio delle correlazioni psicosomatiche, nonché le metodiche di psicocorrezione e psicoterapia.

La psicologia medica speciale studia gli stessi ambiti, ma in relazione a specifiche patologie e condizioni, comprese quelle derivanti da situazioni estreme. Particolare attenzione viene dedicata ai pazienti nella fase preparatoria agli interventi chirurgici, ai soggetti con deficit sensoriali (cecità, ipoacusia), alle persone con condizioni psiconeurologiche borderline e a chi vive esperienze di lutto.

La psicologia clinica intrattiene profondi collegamenti con altre aree applicative: la psicologia del lavoro, quella ingegneristica, la psicologia giuridica e criminale, la conflittologia e la psicologia delle arti. La metodologia e la pratica della psicologia clinica permeano pressoché tutti gli indirizzi della scienza psicologica.

In ambito di psicologia criminale, ad esempio, gli psicologi clinici possono richiamarsi all’eredità di C. Lombroso e alla sua teoria del «criminale nato» come esempio storico del tentativo di biologizzare il comportamento criminale. Sebbene le opere di Lombroso possano apparire eccessivamente categoriche alla psicologia contemporanea, rimangono comunque classiche e costituiscono una tappa significativa nel panorama complessivo delle diverse branche della scienza psicologica.

L’attività dello psicologo clinico è integrata in tutte le principali aree della scienza e della pratica medica, pertanto è regolata da rigorosi principi etici comuni all’intera medicina:

— Il principio del «non nuocere» (modello ippocratico). Questa prima forma di etica medica fu enunciata da Ippocrate stesso nel «Giuramento», nonché nelle sue opere «Sulla legge», «Sui medici», «Sul decoro» e «Negli insegnamenti».

— Il principio del «fare il bene» (modello paracelsiano).

— Il principio dell’«adempimento del dovere» (modello deontologico).

— Il principio bioetico del «rispetto dei diritti e della dignità della persona».

Modelli etici in medicina e psicologia clinica: contesto storico e applicazione contemporanea

Nelle culture antiche — babilonese, egizia, ebraica, persiana, indiana, greca — la capacità di curare testimoniava l’elezione di un individuo e ne determinava una posizione sociale d’élite, tipicamente sacerdotale.

Il principio ippocratico del «non nuocere» costituisce la garanzia professionale fondamentale, considerata condizione e base per il riconoscimento del medico da parte della società e di ogni singola persona che affida a lui la propria salute e la propria vita. Ippocrate dedicava grande attenzione all’aspetto esteriore del medico: chi esercita la professione medica deve essere curato e ispirare fiducia. Le qualità morali e l’aspetto professionale svolgono un ruolo determinante; pertanto, un look stravagante o informale dello psicologo clinico (ad esempio, colori di capelli eccentrici, piercing) è inaccettabile, poiché potrebbe ostacolare la creazione di un rapporto di fiducia con il paziente.

Paracelso, nel suo modello, attribuiva enorme importanza alla relazione tra medico e paziente. Il principio del «fare il bene» (operare con amore, beneficenza, misericordia) caratterizza l’arte medica come un’esecuzione organizzata di bene e cura verso il paziente.

Il modello deontologico dell’etica rappresenta un insieme di regole comportamentali obbligatorie che disciplinano il lavoro di qualsiasi psicologo. Queste norme sono dettagliatamente esposte nei codici etici professionali. La violazione di queste linee guida può comportare conseguenze disciplinari e legali per il professionista. Ad esempio, i contatti intimi tra psicologo e paziente durante il periodo terapeutico sono considerati immorali; inoltre, una relazione intima con un ex paziente può anch’essa essere giudicata non etica. Esistono regole di condotta chiaramente definite, sviluppate per praticamente ogni specialità medica, inclusa la psicologia clinica.

Il principio della bioetica è il principio del rispetto dei diritti e della dignità della persona. Se uno psicologo riceve un paziente che professa credi religiosi differenti, o presenta comportamenti e condizioni addictive come la dipendenza dalla pornografia, lo specialista non ha il diritto di giudicarlo. Gli psicologi clinici riconoscono la diversità dell’esperienza umana e hanno l’obbligo di rispettare l’esperienza personale del paziente. Nonostante possedere proprie convinzioni, lo psicologo durante il processo terapeutico deve astenersi dall’imporle. La bioetica costituisce la forma contemporanea dell’etica biomedica professionale tradizionale, dove le relazioni sono subordinate all’obiettivo superiore di preservare la vita e la dignità del genere umano.

Un complesso dilemma etico per lo psicologo clinico è rappresentato dal lavoro con donne che intendono ricorrere all’aborto. Per quanto complessa sia la situazione della paziente, lo psicologo, guidato dal principio della preservazione della vita, ha innanzitutto il dovere di presentare argomentazioni a favore del proseguimento della gravidanza, per spingere la persona a una profonda riflessione sulla propria decisione. Tuttavia, lo specialista non ha il diritto di insistere o coercire; il suo compito è utilizzare metodologie di consulenza (quali l’approccio persuasivo e il contraddittorio) affinché la cliente giunga autonomamente a una conclusione ponderata.

Altrettanto complesso è il lavoro con casi di incesto protratto tra genitori e figli. In simili circostanze, gli psicologi clinici si orientano principalmente sulla finalità suprema di preservare la salute fisica e psichica delle vittime, aspetto direttamente connesso all’essenza e allo scopo della moralità.

Tra le questioni bioetiche rientra anche il problema dell’eutanasia, che solitamente sorge quando il paziente ha irreversibilmente perso coscienza e sperimenta sofferenze intense e intollerabili, costringendo il personale medico a mantenerlo in vita in stato inconscio mediante supporto farmacologico. In Russia è legale la cosiddetta eutanasia passiva, che applica il principio dell’interruzione delle cure, escludendo un atto diretto di soppressione. Ad esempio, se una persona si trova in coma profondo senza possibilità di recupero, il personale sanitario è tenuto a sostenerne le funzioni vitali, poiché l’eutanasia attiva contrasta con i principi bioetici del paese.

Seguendo questa logica, in neuropsicologia, anche se un individuo ha subito tre ictus ma conserva parzialmente almeno una consapevolezza elementare, il neuropsicologo o lo psicologo clinico ha l’obbligo di assumersi la responsabilità del lavoro volto al recupero delle funzioni psichiche superiori (quali il linguaggio e la memoria). Anche se il paziente versa in una condizione di allettamento grave ma mantiene un contatto con la realtà, gli specialisti non hanno il diritto di interrompere il lavoro con lui.

Le norme che definiscono i confini della relazione tra psicologo e paziente sono estremamente chiare. La psicologia clinica contemporanea, in tutti i suoi ambiti, si fonda sui principi etici medici generali, nonostante gli specialisti si trovino periodicamente ad affrontare dilemmi etici complessi e specifici.

Dal punto di vista della psicologia clinica, il lavoro con casi complessi richiede un algoritmo d’azione preciso, basato su standard professionali e principi etici. Pertanto, di seguito vengono presentati i possibili piani di lavoro per situazioni specifiche.

Caso 1: Adolescente con autolesionismo in contesto di violenza familiare

Situazione: Si presenta in consultazione anonima un adolescente che riferisce episodi di autolesionismo. La causa di questo comportamento è attribuita a violenza psicologica e/o fisica quotidiana perpetrata dal padre naturale.

Algoritmo d’intervento per lo psicologo clinico:

— Intervento di crisi e stabilizzazione del rapporto: Innanzitutto, lo psicologo garantisce la sicurezza psicologica e stabilizza lo stato emotivo dell’adolescente. È fondamentale dimostrare accettazione incondizionata ed empatia, creando un’alleanza terapeutica basata sulla fiducia.

— Valutazione dei rischi: Lo specialista valuta il livello di rischio suicidario e la gravità del comportamento autolesionista. Si accertano frequenza, modalità e finalità delle condotte autolesive.

— Informazione sui limiti della riservatezza: Lo psicologo spiega in modo chiaro e delicato all’adolescente i limiti della riservatezza. Viene sottolineato che le informazioni relative a violenze su minorenni, secondo quanto previsto dalla legge, non possono rimanere confidenziali e devono essere segnalate ai servizi sociali e tutelari per la protezione dei diritti e della vita del minore.

— Motivazione alla divulgazione delle informazioni: Lo specialista motiva con delicatezza l’adolescente a consentire il ricorso alle autorità competenti, spiegando che si tratta di un passo necessario per interrompere la violenza e garantire la sua incolumità.

— Segnalazione alle autorità: In caso di consenso dell’adolescente o in presenza di una minaccia immediata alla vita e alla salute (forme gravi di violenza), lo psicologo contatta i servizi sociali e le forze dell’ordine. Le azioni vengono coordinate secondo il regolamento interno dell’istituzione.

— Elaborazione di un piano di sicurezza: In collaborazione con l’adolescente, viene sviluppato un piano di emergenza psicologica e di sicurezza che includa tecniche di autoregolazione, una lista di numeri di telefono di supporto e un protocollo d’azione nel momento in cui emerga l’impulso acuto di ledersi.

Caso 2: Utente suicida alla linea di assistenza telefonica

Situazione: Un anonimo contatta la linea di supporto psicologico esprimendo una ferma intenzione di suicidarsi (lanciandosi dal balcone) immediatamente dopo la conclusione della conversazione. La localizzazione e i dati personali del chiamante non sono noti.

Algoritmo d’intervento per lo psicologo della hotline:

— Intervento immediato sulla crisi: Lo psicologo riconosce la gravità delle intenzioni dell’utente, senza sminuirne la portata. L’obiettivo prioritario è mantenere la comunicazione a qualsiasi costo.

— Stabilire un contatto emotivo e ascolto attivo: L’operatore dimostra la massima empatia, cercando di comprendere le motivazioni alla base della decisione e consentendo all’utente di esprimere liberamente i propri sentimenti. È fondamentale trasmettere la sensazione di essere ascoltati e compresi.

— Domande dirette sul piano suicida: Lo psicologo formula interrogativi chiari ma discreti: «Può descrivermi cosa intende fare nello specifico?», «Si trova già sul balcone?», «C'è qualcuno nelle vicinanze che potrebbe aiutarla?».

— Mobilitazione delle risorse e ricerca di alternative: Il professionista tenta di individuare elementi di connessione con la vita: richiamare l’attenzione su affetti significativi, posticipare l’attuazione del piano («Possiamo concordare che non farà nulla finché stiamo parlando?»), proporre l’invio immediato di un’ambulanza.

— Tentativo di identificazione della localizzazione: Con delicatezza e senza insistenza, lo psicologo cerca di ottenere l’indirizzo o la posizione: «Per potervi aiutare, avrei bisogno di sapere dove vi trovate. Potreste dirmi il vostro indirizzo?».

— Gestione dell’emergenza e attivazione dei soccorsi: Se l’utente fornisce l’indirizzo o questo viene desunto da elementi indiretti (rumori di fondo, riferimenti contestuali), lo psicologo, senza interrompere la comunicazione, trasferisce a un collega le informazioni per allertare polizia e servizi di emergenza. In caso di interruzione della linea, si tentano richiamate immediate.

Caso 3: Uomo con amnesia in contesto di possibile coinvolgimento in reato grave

Situazione: Un uomo, caposquadra edile, richiede una consulenza per chiarire alcune circostanze. In seguito a un consumo collettivo di alcolici con i suoi sottoposti, è sorto un conflitto tra loro e un uomo sconosciuto. Il cliente presenta amnesia per gli eventi della serata. Il mattino seguente, l’agente di polizia locale ha comunicato che nelle vicinanze è stato rinvenuto il corpo dello sconosciuto con segni di morte violenta. Il cliente desidera accertare se abbia partecipato all’omicidio e al successivo smembramento. Questione preliminare: sindrome di Korsakoff.

Algoritmo d’intervento per lo psicologo clinico:

— Definizione chiara dei limiti professionali: Lo psicologo informa immediatamente il cliente che la sua competenza professionale consiste nella valutazione e nel recupero delle funzioni psichiche (memoria, pensiero), non nell’accertare la commissione di un reato. Si sottolinea che lo specialista non è un investigatore né un giudice.

— Valutazione dello stato psichico: Viene condotta una diagnosi preliminare per identificare sintomi caratteristici della sindrome di Korsakoff (amnesia fissativa, confabulazioni, disorientamento) o di altri disturbi organici e tossici (alcolici).

— Dilemma etico e giuridico: Lo specialista si trova di fronte a una scelta complessa. Da un lato, vige la riservatezza. Dall’altro, sussiste la conoscenza di un possibile reato grave. Le azioni dello psicologo devono rigorosamente conformarsi alle procedure interne dell’istituzione e alle norme di legge. In una simile situazione, lo psicologo è tenuto a consultare il servizio legale.

— Raccomandazione di rivolgersi alle autorità: La principale raccomandazione al cliente deve essere quella di recarsi immediatamente presso la polizia per fornire dichiarazioni e sottoporsi a perizia psicologica e psichiatrica forense, secondo le modalità previste dalla legge. Lo psicologo spiega che solo una perizia nell’ambito di un procedimento penale può valutare legittimamente il suo stato e il grado di responsabilità.

— Astensione da attività non di competenza: Lo psicologo clinico si astiene da qualsiasi tentativo di recuperare la memoria mediante ipnosi o altri metodi, poiché ciò potrebbe alterare potenziali prove e risulta inaccettabile da un punto di vista legale. Il lavoro si concentra sullo spiegare al cliente il suo attuale stato e la necessità di attenersi alla lettera della legge.

Metodi moderni di ricerca nella psicologia clinica

I metodi della psicologia generale e clinica coincidono in larga misura, poiché tecniche come lo studio della memoria, dell’attenzione, del pensiero e del tipo di personalità trovano applicazione sia nella popolazione «sana» che in quella «clinica». Il gruppo «sano» viene spesso utilizzato come riferimento comparativo.

Una serie di metodiche è stata sviluppata specificamente per le esigenze della psicologia clinica e implementata, in particolare, presso l’Istituto Psico-Neurologico V.M. Bekhterev di San Pietroburgo. Tra queste:

— LOBI (Questionario Personale dell’Istituto Bekhterev): concepito per analizzare il benessere soggettivo dei pazienti, il loro atteggiamento verso la malattia, il trattamento, il personale sanitario, la famiglia e altri aspetti significativi;

— PDO (Questionario Diagnostico Patocaratterologico): impiegato per lo studio dei tipi di personalità negli adolescenti, l’identificazione delle accentuazioni del carattere, delle anomalie e della predisposizione a comportamenti devianti.

Esistono metodiche riservate all’uso esclusivo di psicologi o psicoterapeuti. Tuttavia, semplici procedure diagnostiche possono essere applicate anche dal personale sanitario di supporto, solitamente su indicazione del medico. Questi operatori possono condurre valutazioni di specifiche funzioni cognitive (memoria, attenzione, pensiero) e di determinati tratti della personalità (temperamento, autostima, livello d’ansia) avvalendosi di strumenti non complessi.

Nella pratica contemporanea, la maggior parte delle metodiche utilizzate in psicologia clinica sono informatizzate, con il calcolo dei risultati automatizzato. Nonostante ciò, gli psicologi clinici sono tenuti a comprendere e saper applicare i metodi «manuali» di lavoro con i protocolli cartacei, conoscerne i contenuti e i principi interpretativi.

Dal punto di vista degli psicologi clinici, le basi metodologiche della disciplina, secondo la classificazione di V.D. Mendelevič, comprendono tre gruppi principali di metodi:

— Il colloquio clinico

— I metodi di ricerca psicologico-sperimentale (esperimenti psicologici)

— I metodi di valutazione dell’efficacia degli interventi di psicocorrezione e psicoterapia

Un posto particolare è occupato dalla psicodiagnostica, senza la quale l’attività pratica dello psicologo clinico risulterebbe impossibile. L’assenza di lavoro psicodiagnostico nella pratica significa che lo specialista non sta esercitando la psicologia clinica nella sua completezza.

I principali metodi nella pratica dello psicologo clinico sono: il colloquio clinico, i metodi psicologico-sperimentali e i metodi proiettivi.

1. Il colloquio clinico

Questo metodo, in precedenza noto come «metodo conversazionale» o «osservazionale», costituisce parte integrante del processo diagnostico. Il suo obiettivo è chiarire i problemi del paziente, studiarne l’atteggiamento verso la malattia (la cosiddetta «immagine interna della malattia») e elaborare un piano di assistenza psicoterapeutica.

Un compito importante del primo colloquio è valutare la tolleranza alla frustrazione — la capacità dell’individuo di sopportare stati di frustrazione (l’esperienza di ostacoli percepiti come insormontabili, di un «limite invalicabile» nel raggiungimento degli obiettivi) senza compromettere l’adattamento psicologico e sociale. Una bassa tolleranza alla frustrazione si manifesta, ad esempio, quando una persona ai primi segni di una malattia non grave cade nel panico, tralascia i propri doveri e si immerge completamente nelle proprie sofferenze. Un esempio lampante di alta tolleranza è il comportamento di A.P. Čechov, il quale, sebbene affetto da tubercolosi incurabile, negli ultimi anni di vita creò opere letterarie eccezionali, mantenne contatti sociali e non cedette alla depressione, nonostante la consapevolezza della fine inevitabile.

Il criterio di un colloquio clinico riuscito è il raggiungimento della massima confidenzialità. A tal fine si impiegano adeguate tecniche di comunicazione verbale e non verbale, tra le quali assume un ruolo chiave l’instaurazione del rapport — un legame fiduciario speciale. Il rapport si stabilisce con delicatezza, nel rispetto della distanza professionale (circa 1,5 metri, corrispondente alla zona di comunicazione sociale).

Sul processo interattivo influiscono:

— la distanza (si distinguono zone intima, personale, sociale e pubblica; la violazione dei confini provoca disagio);

— la disposizione reciproca (la posizione frontale senza scrivania favorisce la fiducia, mentre lo stare opposti con la scrivania fra loro può provocare conflitto);

— le caratteristiche ambientali (disposizione dei mobili, ora del giorno, durata del colloquio).

Lo psicologo clinico deve controllare il tono di voce, tenere sotto controllo i propri gesti ed evitare domande dirette e inopportune («Ha mai avuto allucinazioni?»). Una sequenza di domande risulta efficace se segue uno schema preliminare, e frequenti espressioni di approvazione verso il paziente favoriscono l’approfondimento del contatto.

Se in una stessa giornata sono previsti sia il colloquio che la somministrazione di test, la conversazione viene suddivisa in due parti: prima e dopo l’esperimento. Al termine del colloquio è importante verificare se il paziente ha percepito una qualche forma di aiuto e se si sente sollevato.

Durante il colloquio, lo psicologo clinico osserva costantemente l’espressività facciale, le inflessioni vocali e le reazioni del paziente, attuando una sorta di «profilazione» professionale o verifica delle emozioni. Questo lavoro richiede elevata concentrazione e dispendio energetico, nonostante l’apparente disinvoltura dello specialista.

2. Metodi psicologico-sperimentali

Questo gruppo di metodiche è estremamente diversificato e include test, questionari, tecniche proiettive e ricerche psicofisiologiche. La diagnosi può essere finalizzata sia alla valutazione di singole funzioni psichiche che allo studio delle caratteristiche individuali e di personalità.

Metodi psicometrici: utilizzati per lo studio dell’intelligenza (ad esempio il test di Wechsler) e rappresentano strumenti complessi e standardizzati, applicabili esclusivamente da psicologi clinici o psichiatri.

Ricerche psicofisiologiche: condotte in tandem con esperimenti comportamentali, includono la misurazione della risposta galvanica cutanea, del ritmo cardiaco, dell’EEG in risposta a trigger specifici (ad esempio in pazienti con PTSD).

Il processo psicodiagnostico deve essere protetto da influenze casuali. Non è possibile, ad esempio, somministrare un test sull’ansia a un paziente con fobia sociale in un corridoio affollato, poiché ciò distorcerebbe i risultati. I risultati vengono classificati chiaramente in norma, stato borderline e patologia (ad esempio, nel test di Ebbinghaus sul ricordo di 10 parole, le persone sane le ricordano tutte dopo 5—7 ripetizioni).

I questionari si dividono in:

— chiusi, che prevedono una scelta tra un numero limitato di opzioni («sì/no», «più sì che no/più no che sì», scale da 1 a 4). Esempi: il test di Leonhard-Schmisek, il questionario di Eysenck;

— aperti, che consentono risposte libere. Esempio: la metodica per lo studio del livello di aspirazione, in cui si chiede al soggetto di elencare il maggior numero possibile di nomi, città, ecc.

3. Metodi proiettivi

Nell’utilizzo di metodiche proiettive (test di Rorschach, metodo delle frasi da completare) al soggetto viene presentato del materiale-stimolo ambiguo, che egli deve integrare, sviluppare o interpretare. Questi metodi consentono di ottenere una valutazione generalizzata delle pulsioni inconsce, dei conflitti intrapersonali e dei meccanismi di difesa psicologici. Attraverso di essi è possibile valutare, ad esempio, il tipo di reazione alla frustrazione:

— estrapunitiva: orientata verso l’esterno, con accuse rivolte agli altri;

— intrapunitiva: orientata verso sé stessi, con autoaccuse (autoaggressività);

— impunitiva: valutazione della situazione come poco significativa.

I metodi proiettivi si caratterizzano per l’alta complessità e l’ambiguità interpretativa, pertanto il loro utilizzo richiede allo psicologo clinico una significativa esperienza e qualificazione. Ai specialisti alle prime armi non è raccomandato fare affidamento esclusivamente su queste metodiche, poiché un errore interpretativo potrebbe avere serie conseguenze nel lavoro con disturbi borderline di personalità, dipendenze e altre condizioni complesse.

Nella pratica clinica, i metodi proiettivi non possono fungere da strumenti principali e vengono utilizzati esclusivamente in combinazione con altri strumenti diagnostici.

Al termine di un ciclo di psicocorrezione o psicoterapia, gli psicologi clinici valutano l’efficacia degli interventi intrapresi. A questo scopo, B.D. Karvasarskij ha sviluppato scale specifiche che consentono allo specialista di valutare:

— il grado di miglioramento sintomatico del paziente;

— il livello di consapevolezza dei meccanismi psicologici della malattia;

— la dinamica di cambiamento delle relazioni personali compromesse;

— il grado di miglioramento del funzionamento sociale

Per la valutazione dell’efficacia terapeutica viene generalmente utilizzato un’ampia gamma di strumenti, inclusi metodi di studio della memoria, scale per la valutazione dell’ansia e altre metodiche standardizzate.

La psicologia clinica è una disciplina scientifica basata su evidenze e risulta incompatibile con aree come la parapsicologia o la percezione extrasensoriale. Sebbene nell’arsenale dello psicologo clinico siano presenti tecniche suggestive (quali il training autogeno o l’ipnosi clinica), la loro applicazione richiede il possesso del relativo diploma e di una certificazione specialistica. Lo psicologo clinico o il neuropsicologo competente ha il dovere di mettere in guardia pazienti e loro familiari dal rivolgersi a pseudospecialisti, motivando la propria posizione con i dati della medicina basata sulle evidenze.

Dallo specialista in psicologia clinica si richiede un pensiero estremamente razionale e un’elevata competenza. Ad esempio, quando si lavora con un paziente che presenta un’accentuazione paranoide della personalità, qualsiasi menzione inappropriata o approvazione indiretta di pratiche legate alla divinazione o alla percezione extrasensoriale potrebbe provocare la manifestazione di schizofrenia paranoide.

L’ambito di attività dello psicologo clinico è estremamente ampio e comprende la neuropsicologia, la patopsicologia, la psicoterapia familiare, il lavoro con dipendenze sessuali, disturbi post-traumatici, anomalie dello sviluppo e malattie psicosomatiche. L’attività professionale non si limita al colloquio clinico e alla psicodiagnosi; include inoltre la conduzione di programmi di training, la supervisione obbligatoria o l’intervisione, nonché una costante terapia personale.

La terapia personale è considerata un requisito necessario per mantenere la salute mentale dello psicologo stesso, sviluppare una sana autostima e prevenire il burnout professionale. Consente allo specialista di valutare i casi clinici in modo appropriato, senza proiettare su di essi i propri problemi irrisolti.

La supervisione rappresenta un elemento cruciale per la crescita professionale, specialmente per gli psicologi clinici alle prime armi. Offre l’opportunità di analizzare casi complessi sotto la guida di un collega più esperto, favorendo il miglioramento delle competenze e prevenendo errori. Esistono vari formati per ricevere supporto supervisionale, dal lavoro individuale ai gruppi di intervisione economicamente più accessibili.

Un posto particolare nella struttura della psicologia clinica è occupato dalla patopsicologia — il ramo che studia le regolarità della disintegrazione dell’attività psichica e delle proprietà della personalità, confrontandole con le regolarità della formazione e del decorso dei processi mentali nella norma. Il termine fu introdotto da V.M. Bekhterev nel 1903.

La patopsicologia come parte della psicologia clinica

La fondatrice della patopsicologia russa è B.V. Zeigarnik, allieva del noto psicologo tedesco K. Lewin. A lei si deve la scoperta del cosiddetto effetto Zeigarnik, per cui gli individui tendono a ricordare meglio le azioni interrotte rispetto a quelle portate a termine. Questo fenomeno è concettualmente vicino al popolare concetto di «Gestalt incompiuta». B.V. Zeigarnik sviluppò le basi teoriche della patopsicologia, descrisse i disturbi dei processi mentali e formulò i principi operativi del patopsicologo, successivamente sviluppati dai suoi allievi (tra cui Ju. F. Poljakov, S.J. Rubinštejn, B.S. Bratuš).

Mentre la psicopatologia clinica identifica e sistematizza le manifestazioni delle funzioni psichiche alterate, la patopsicologia rivela le caratteristiche del decorso e della struttura dei processi mentali che conducono ai disturbi osservati. Nonostante l’iniziale forte connessione con la psichiatria, i metodi patopsicologici trovano oggi applicazione anche in cliniche di medicina generale.

I concetti chiave in patopsicologia sono il sintomo, come indicatore singolo di uno stato patologico, e la sindrome, intesa come combinazione coerente di sintomi uniti da un meccanismo patogenetico comune. La diagnosi sindromica possiede maggiore specificità e valore poiché lo stesso sintomo, ad esempio le allucinazioni, può presentarsi in condizioni diverse come intossicazioni, deprivazione di sonno e disturbi d’ansia, mentre la sindrome rappresenta un quadro più definito.

La sindrome patopsicologica include non solo gli indicatori di deficit, ma anche gli aspetti preservati del funzionamento mentale, consentendo la formulazione di una diagnosi funzionale. Questa diagnosi riflette le caratteristiche dinamiche della condizione dell’individuo, le sue relazioni con l’ambiente sociale e il potenziale di compensazione dei deficit. La ricerca patopsicologica risulta particolarmente preziosa in assenza di chiari criteri clinici, per valutare la dinamica dello stato del paziente e l’efficacia del trattamento.

Lo psicologo clinico non è abilitato a formulare diagnosi mediche, ma elabora una diagnosi psicologica, come ad esempio «ritardo dello sviluppo psichico». La relazione redatta dallo specialista funge da base per la collaborazione con altre figure professionali: psichiatri, neurologhi, logopedisti e terapisti della riabilitazione.

La relazione psicologica, fornita su richiesta del paziente o quando necessario per l’invio a uno specialista correlato, deve includere:

— gli esiti della valutazione diagnostica e del colloquio clinico;

— un’ipotesi esplicativa delle cause dei disturbi emersi;

— raccomandazioni specifiche e le misure di psicocorrezione intraprese.

Queste informazioni assistono il medico curante nel determinare la strategia più appropriata per la gestione successiva del paziente, rendendo la collaborazione tra psicologo e medico estremamente produttiva.

Gli psicologi clinici e i neuropsicologi partecipano a varie tipologie di perizie: medico-legali per l’invalidità civile, medico-militari, medico-pedagogiche e psichiatrico-forensi. Nell’ambito giudiziario, i risultati della valutazione condotta dallo psicologo clinico possono costituire una forma autonoma di prova.

Gli specialisti in psicologia clinica, psicologi clinici, neuropsicologi, patopsicologi, partecipano attivamente alla riabilitazione dei pazienti e al lavoro psicocorrettivo. Il processo riabilitativo integra mezzi farmacobiologici, metodi di trattamento psicosociale e interventi mirati all’ottimizzazione dell’ambiente sociale e delle condizioni esterne di adattamento dell’individuo.

Nei centri gerontologici, l’operato dello psicologo clinico, del neuropsicologo o del patopsicologo rappresenta una necessità, poiché il recupero dei pazienti dopo ictus, infarti, lesioni cerebrali e interventi neurochirurgici dipende in misura significativa non solo dal supporto farmacologico, ma anche da un’adeguata strutturazione di interventi di psicocorrezione, psico-riabilitazione e psicoterapia.

Distinzione tra psicoterapia, psicocorrezione e riabilitazione

Dal punto di vista della psicologia clinica, è fondamentale distinguere concetti affini.

La psicoterapia (dal greco antico «cura dell’anima») rappresenta un’analisi approfondita dei problemi del cliente, orientata ai processi inconsci e alla ristrutturazione strutturale della personalità. La sua azione terapeutica non agisce sulla psiche in modo isolato, ma attraverso la psiche — sull’intero organismo umano. La psicoterapia favorisce la risoluzione di problemi emotivi, comportamentali e interpersonali, e il suo obiettivo finale è la trasformazione della visione del mondo e il miglioramento della qualità della vita.

La psicocorrezione (che significa «rettifica») è un complesso di metodiche finalizzate a correggere carenze della psicologia o del comportamento umano prive di base organica. La psicocorrezione accresce la flessibilità e l’adattabilità della psiche. La differenza cruciale rispetto alla psicoterapia risiede nel fatto che la psicocorrezione non persegue la modificazione della struttura della personalità e può rivelarsi efficace anche senza la piena consapevolezza da parte del cliente dei propri problemi.

Se la psicoterapia agisce sul mondo interiore e sulla visione del mondo, la psicocorrezione si concentra sull’eliminazione di specifiche carenze nello sviluppo psichico o di pattern comportamentali.

La riabilitazione si occupa del reinserimento nella vita sociale e professionale di persone che hanno sofferto di disturbi psichici o somatici. In questa fase si parla di prevenzione terziaria.

La riabilitazione non può essere ridotta a uno o due metodi di intervento (quali psicoterapia o ergoterapia) né descritta esclusivamente attraverso l’obiettivo finale (l’inserimento abitativo o lavorativo). Secondo l’approccio sistemico, la riabilitazione rappresenta un sistema dinamico di componenti interconnesse, costituendo simultaneamente sia metodo che fine.

Il concetto di riabilitazione proposto da M.M. Kabanov e implementato nelle cliniche dell’Istituto Psico-Neurologico V.M. Bekhterev di Leningrado possiede una sua storia specifica. Nato a metà degli anni ’20 dalle idee della «medicina fisica», si è arricchito dei progressi della psicologia medica, della pedagogia medica e della sociologia medica, strutturandosi sulla base dei principi della non costrizione e della terapia sociale.

Molti erroneamente riducono la riabilitazione a un «completamento della cura» o allo sfruttamento della residuale capacità lavorativa, il che restringe indebitamente questo concetto complesso. In conformità con le raccomandazioni dell’OMS, la riabilitazione è intesa come prevenzione terziaria (dove la primaria rappresenta la prevenzione in senso proprio, e la secondaria il trattamento). La riabilitazione costituisce innanzitutto un approccio fondamentalmente diverso alla persona malata.

Il concetto moderno di riabilitazione prevede un approccio integrale e complesso al paziente, che considera non solo le caratteristiche clinico-biologiche della malattia, ma anche i tratti personality e i fattori ambientali. Lo scopo della riabilitazione è il recupero dello status personale e sociale del paziente, indipendentemente dalla nosologia (sia esso un disturbo nevrotico, schizophrenia, infarto miocardico o patologie dell’apparato muscolo-scheletrico).

La selezione degli strumenti diagnostici è effettuata dallo psicologo clinico in modo individualizzato, in base agli obiettivi specifici. Lo specialista opera nel quadro degli standard professionali, ma assume la piena responsabilità della scelta metodologica.

Gli psicologi clinici esperti (con oltre 10 anni di esperienza) detengono il diritto all’adattamento metodologico: possono applicare metodi standardizzati in versione non standardizzata per l’analisi qualitativa delle caratteristiche dell’attività psichica, qualora ciò sia giustificato dagli obiettivi diagnostici e dall’esperienza professionale.

Oltre ai metodi patopsicologici, per risolvere compiti diagnostici, specialmente in neurologia, neurochirurgia e nella pratica pediatrica, vengono utilizzati metodi neuropsicologici. Questi sono finalizzati allo studio delle caratteristiche del linguaggio, della gnosi visiva, uditiva e tattile, e consentono di identificare la specificità dei deficit della memoria a breve e lungo termine, compresi quelli con predominanza patologica in una specifica modalità (visiva, tattile, uditiva). Sono particolarmente diffuse le varianti non standardizzate dei metodi neuropsicologici, sebbene vengano impiegati anche strumenti standardizzati come la diagnostica secondo L.I. Vasserman.

Dal punto di vista degli psicologi clinici, nella scelta del metodo psicologico è necessario guidarsi secondo i seguenti principi:

1. Scopo della ricerca. Se l’obiettivo è la diagnosi differenziale, la determinazione della profondità del difetto psichico o lo studio dell’efficacia terapeutica, la scelta del metodo è determinata dalle caratteristiche del disturbo presunto. Ad esempio, in caso di sospetto disturbo del pensiero, lo psicologo clinico opterà non per il test di Rorschach bensì per il metodo delle pittogramme di A.R. Luria, che consente di evidenziare problematiche nell’attività pensante e valutare la memorizzazione mediata.

2. Istruzione ed esperienza di vita del paziente. Nella selezione della metodica, lo psicologo clinico è tenuto a considerare il livello di istruzione, il bagaglio esperienziale e l’anamnesi del paziente. Metodiche diagnostiche complesse possono rivelarsi inefficaci per una persona dedita al lavoro manuale. Ad esempio, un compito sulla formazione di analogie complesse risulterebbe inappropriato per un paziente privo della relativa esperienza cognitiva.

3. Caratteristiche del contatto con il paziente. La scelta metodologica dipende dalle peculiarità della relazione con il malato. Ad esempio, nell’esaminare pazienti con deficit dell’analizzatore uditivo, è più opportuno utilizzare compiti basati sulla percezione visiva.

Nel processo di ricerca, gli psicologi clinici generalmente impiegano compiti progressivamente più complessi. Fanno eccezione i casi in cui si sospetti pseudodemenza, aggravamento o simulazione. In presenza di sospetta simulazione, lo psicologo potrebbe somministrare intenzionalmente un compito complesso per verificare la propria ipotesi.

Tra le giovani generazioni di studenti, purtroppo, si è diffusa una moda di simulare patologie psichiche. Se alcuni anni fa manifestavano prevalentemente sintomi di disturbo ossessivo-compulsivo o depressivo, oggi sono diventati di moda sintomi patopsicologici caratteristici della schizofrenia lentamente progressiva o del disturbo bipolare. Tali casi sono particolarmente tipici negli adolescenti con personalità isteroide, che sperimentano carenza di attenzione. Questi adolescenti possono trarre in inganno non solo psicologi clinici, ma anche psichiatri, il che occasionalmente conduce a ricoveri ingiustificati per osservazione.

B.V. Zeigarnik sottolineava che condurre una ricerca patopsicologica in ambito clinico è significativamente più complesso che in ambiente naturale. Gli esperimenti patopsicologici non mirano a misurare processi isolati, bensì a studiare l’essere umano nel processo dell’attività reale. Essi presuppongono l’analisi qualitativa delle varie forme di disintegrazione psichica, l’identificazione dei meccanismi sottostanti i deficit funzionali e la ricerca di possibili strategie di recupero.

Poiché ogni processo psichico possiede una dinamica e una direzionalità intrinseche, le indagini sperimentali devono cogliere la preservazione o l’alterazione di tali parametri. I risultati sperimentali devono privilegiare una caratterizzazione qualitativa, non limitandosi a quella quantitativa. Ripetute somministrazioni testologiche che si limitano a constatare una «disintegrazione della personalità» risultano inefficaci senza un’adeguata descrizione dell’evoluzione sintomatologica.

I risultati delle indagini patopsicologiche devono garantire affidabilità. L’elaborazione statistica dei dati viene applicata solo ove appropriato, essendo l’analisi quantitativa complementare ma non sostitutiva di quella qualitativa. Come sottolineava Zeigarnik, risulta essenziale considerare non solo le prestazioni del paziente, ma anche la sua comprensione dei compiti, le interpretazioni fornite e le cause soggiacenti agli errori commessi.

L’analisi qualitativa degli errori, andando oltre la loro mera rilevazione, fornisce il materiale più significativo per valutare le caratteristiche del funzionamento psichico dei pazienti. L’impostazione della ricerca psicologico-sperimentale in ambito clinico si distingue dall’esperimento psicologico convenzionale per il ricorso a una metodologia plurima, atta a indagare un processo di disintegrazione psichica che non si presenta mai come monodimensionale.

Nella somministrazione di qualsiasi compito sperimentale in patopsicologia è possibile evidenziare diverse forme di alterazioni mentali, sebbene non tutte le metodiche consentano di valutare con pari efficacia entità e tipologia del deficit. È fondamentale che la valutazione sperimentale documenti non solo gli aspetti compromessi, ma anche le risorse preservate della personalità, aspetto determinante nella progettazione di interventi riabilitativi.

Fasi della ricerca psicologica

In psicologia clinica si distinguono le seguenti fasi di un’indagine psicologica completa:

— Studio della documentazione clinica e definizione degli obiettivi. La ricerca inizia con l’analisi della documentazione medica e un colloquio con il medico curante per precisare gli obiettivi diagnostici. In assenza del medico, lo psicologo clinico procede autonomamente alla raccolta anamnestica e valuta lo stato psichico del paziente durante il colloquio clinico. Se il paziente viene inviato con un’ipotesi diagnostica specifica, lo psicologo esamina l’anamnesi avendo già una direzione d’indagine preliminare. Anche in presenza di una relazione preesistente, lo psicologo conduce un proprio colloquio, poiché i risultati possono divergere.

— Svolgimento della ricerca. L’affidabilità dello studio dipende dall’atteggiamento del paziente e dalla capacità dello psicologo di stabilire un contatto produttivo. L’esperimento viene avviato solo dopo aver accertato l’instaurazione del necessario rapport — un legame fiduciario speciale.

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